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Angelo Demitri Morandini / Ex Machina
curated by Gabriele Salvaterra
The reason I’m painting this way
is that I want to be a machine
Andy Warhol
Angelo Demitri Morandini si occupa, con il suo percorso artistico, di linguaggio, tecnologia e interazioni (a loro volta sociali, personali o, ancora, digitali). Sembrerebbe quindi per una strana coincidenza incontrarlo nel territorio del disegno automatico, sia realizzato personalmente, cercando di superare i filtri del pensiero razionale, sia fatto eseguire da macchine assurde, per nulla tecnologiche, quasi delle costruzioni da bricolage che sembrano funzionare per un miracoloso equilibrio di forze contrastanti, movimenti permessi e altri obbligati.
Di fatto, la triangolazione che costituisce la ricerca di Morandini si ritrova anche qui, sotto apparenze del tutto diverse. Linguaggio che si crea automaticamente, macchina di una tecnologia primitiva che è in grado di produrre “parole” formali fuori dal controllo del creatore, interazione continuamente calibrata tra un oggetto che sembra pensante e un individuo che fa di tutto per eliminare il carattere riflessivo della propria personalità.
Ciò che affascina Morandini, nel suo approccio quasi scientifico e laboratoriale alla pratica artistica, è registrare un linguaggio che emerge spontaneamente dai movimenti inconsulti di un organismo meccanico ossessivo e nel quale è possibile leggere, come in qualsiasi produzione artistica umana, un’intenzionalità e avere un appiglio interpretativo. Anche la macchina mette alla prova la capacità del nostro occhio di dare senso alle cose. Viceversa l’autore, quasi invidioso rispetto alle strane creature a cui ha dato vita, si mette sulla sponda opposta e prova a disegnare facendo leva solo sulla vuota materialità del proprio corpo, come fosse un automa senz’anima. Elemento involontario e meccanico che c’è nell’uomo versus elemento umano che c’è nella macchina. Macchine poetiche, patetiche, drammatiche; artisti creatori robotici, vuoti, manichini metafisici.
In entrambi i casi i risultati di queste attività ossessivo-compulsive, isteriche e masturbatorie portano a testi artistici che possono essere interpretati, dando luogo a uno strano gap tra produzione incontrollata e lettura di narrazioni che non hanno volontà. È strano poi che Andy Warhol, volendo diventare una macchina impersonale abbia dato luogo a opere effettivamente molto controllate, riproducibili e anonime come cartelloni pubblicitari, mentre questi disegni di robot talvolta, quando si è fortunati, riescono ad avere la stessa espressività del tratto di Egon Schiele.